Presente e futuro politico del «movimento per la globalizzazione dal basso» dopo le giornate di Genova nel libro a più voci e edito da Laterza «Global, noglobal, newglobal». Un'inchiesta sulle identità collettive, sul rapporto tra le diverse componenti e tra queste e i partiti politici.
Ottocento questionari per radiografare e sezionare il «movimento per la globalizzazione dal basso». E' quanto ha realizzato un gruppo di ricercatori coordinati da Donatella della Porta a Genova durante le contestazioni del G8 nel luglio 2001. Le domande puntavano a definire un oggetto sfuggente come è la galassia di associazioni, gruppi, reti sociali che è stata chiamata «movimento dei movimenti», espressione ambivalente che indica, al tempo stesso, una realtà di fatto, cioè che gran parte degli elementi costitutivi di quella galassia erano preesistenti, ma anche che quel movimento aveva la capacità di riassumere politicamente quanto di organizzato già esisteva. I nodi tematici individuati dal gruppo di ricercatori riguardano la presenza o meno di una identità collettiva del movimento, i rapporti tra le diverse «anime», e tra queste e le forze politiche tradizionali. Il questionario è stato distribuito prima dei «noti fatti», i quali però hanno ovviamente modificato le risposte e la loro elaborazione. Un lavoro di inchiesta quindi costellato di stop and go perché la rivolta di Genova ha cambiato radicalmente lo scenario, mettendo a nudo la crisi delle istituzioni sovranazionali come il G8 - che hanno infatti deciso di riunirsi in luoghi inaccessibili, sottolineando così il carattere autoritario delle loro decisioni - e posto di fronte al «movimento per la globalizzazione dal basso» l'urgenza politica di dare continuità alla propria azione. A oltre un anno di distanza, per illustrare i risultati di quell'inchiesta, Massimiliano Andreatta, Donatella della Porta, Lorenzo Mosca e Herbert Reiter hanno mandato alle stampe il volume Global, Noglobal, newglobal (Laterza, pp. 227, € 20). Il volume sarà presentato lunedì prossimo alle 15.30 all'interno dell'incontro Capire i movimenti globali che si terrà nella sala del Carroccio del Campidoglio di Roma). Assieme ai questionari, gli autori dell'inchiesta hanno utilizzato documenti di questo o quel gruppo, nonché i testi delle audizioni che militanti, funzionari di polizia, parlamentari hanno tenuto alla Commissione parlamentare istituita per chiarire ciò che è accaduto dal 19 al 21 luglio del 2001.
Per gli autori del volume, i movimenti sociali non sono solo da considerare una manifestazione reattiva a «disfunzioni sistemiche»: ogni movimento contribuisce infatti alla definizione di identità collettive, la cui esistenza è una condizione necessaria alla riproduzione delle società moderne. Inoltre, i movimenti non declinano, né scompaiono, ma hanno un andamento carsico: nascono, mettono radici e poi hanno periodi di latenza, durante i quali le «risorse necessarie alla mobilitazione» sono conservate per una nuova stagione conflittuale. Possono ovviamente mantenere aperto un canale di comunicazione con le istituzioni o presentarsi come «antisistema»; allo stesso tempo l'identità collettiva che esprimono può funzionare come elemento di collante al proprio interno in vista dell'obiettivo di una trasformazione radicale della società o costituire l'approdo finale del suo operato, come è accaduto per le «minoranze attive» (gli afroamericani, i gay, le lesbiche). In ogni caso, i movimenti sociali sono un fattore di stabilizzazione del legame sociale. Infine la scelta fatta dagli autori del termine «movimento per la globalizzazione dal basso» è dettata dalla convinzione che questa galassia sociale e politica non punta alla conquista del potere politico, ma ad introdurre limiti - sociali, economici, etici - all'operato delle istituzioni della global governance attraverso codici di condotta e leggi internazionali.
Gran parte delle risposte al questionario concordano che questo movimento è internazionale e che ha una composizione generazionale e sociale eterogenea, anche se prevalgono uomini e donne giovani, spesso laureati, a volte disoccupati, frequentemente precari, anche se non mancano i cosiddetti professionals. Per quanto riguarda la presenza o meno di una identità collettiva, la maggioranza degli intervistati è gelosa, quando ne fa parte, dell'appartenenza a gruppi, associazioni, sindacati e partiti. La «convergenza» nel movimento per la globalizzazione dal basso è quindi il frutto della condivisione di alcuni obiettivi e di una visione del mondo incentrata sugli ideali di solidarietà e giustizia sociale.
Le conclusioni del volume sono nette: la eterogenea composizione sociale, culturale e generazionale del movimento spinge a sostenere è avvenuta una convergenza tra pragmatismo e rivolta etica, tra saperi scientifici e tensione utopica. Il tutto all'interno di una cornice organizzativa segmentata, policefala e reticolare.
Un'inchiesta sociologica fornisce spesso una fotografia che fissa la realtà al passato e non al presente. Può inoltre essere sovraesposta o sottoesposta. Quella che emerge dal volume Global, noglobal, newglobal non ha nessuna delle due caratteristiche, perché punta molto di più a far emergere i nodi tematici che il «movimento per la globalizzazione dal basso» ha di fronte a sé che non a una sua rappresentazione statistica. Va da sé che da Genova in poi molte cose sono cambiate sia a livello italiano che internazionale. Il cambio di governo a Palazzo Chigi, la ripresa dell'iniziativa sindacale da parte della Cgil, l'11 settembre, la guerra in Afghanistan, l'impasse del Fmi dopo il crollo dell'economia argentina, l'entrata, infine, della Cina nel Wto. Tutti elementi che hanno costretto il movimento per la globalizzazione dal basso ad aggiornare la propria agenda politica, dando la sensazione di una sua progressiva frammentazione. Non è stato così. Anzi si può tranquillamente dire che ha allargato la sua zona di influenza, giungendo a lambire anche le rive della sinistra tradizionale. Questo non per giungere alla conclusione che c'è un filo rosso che parte da Seattle e arriva agli scioperi generali italiano e spagnolo e alla manifestazione contro la guerra a Londra.
Diversità dentro al movimento ci sono e continueranno ad esserci, al punto che le diverse «anime» possono incontrarsi su una campagna e dividersi su un'altra. I credenti possono puntare alla riforma della Banca mondiale e del Fmi, mentre gli anticapitalisti sostenere la loro irriformabilità; ci sarà sempre qualcuno che sosterrà la necessità di una global governance o chi si batterà per una deglobalizzazione e una multilevel governance che bilanci il potere dei paesi forti. E tuttavia questo intreccio tra pragmatismo, tensione utopica e opzione radicale continuerà a tessere la trama per una convergenza tra le diverse «anime» del movimento.
Un elemento i curatori del volume hanno tenuto in secondo piano, ma la cui entrata in campo avrebbe reso ancor più problematica - come è giusto che sia - la lettura di questa realtà sociale e politica. Si tratta dei rapporti sociali di produzione. Il movimento non è solo una risposta a una «crescente istituzionalizzazione della politica internazionale», ma soprattutto una risposta a una crescente internazionalizzazione e diffusione di uno specifico rapporto sociale di produzione, quello capitalistico. L'introduzione di questo elemento avrebbe quindi reso ancor di più articolata la lettura della realtà indagata. E questo proprio quando il neoliberismo sembra giunto al capolinea. E' ovvio che non è così, ma è pur certo che le soggettività, i modi d'essere le forme di vita presenti in questo movimento per la globalizzazione dal basso hanno detto e hanno ancora molto da dire proprio su questo scenario che si è aperto con la crisi della globalizzazione.